Perché la domanda sul significato è una domanda filosofica? Deve la filosofia indagare l’essenza di un assai strano, a molti sospetto ente, il significato? Sarà, questo, un suo oggetto particolare, uno fra gli altri oggetti nel mondo, reperibile in natura e meritevole, accanto ad una indagine positiva dedicata al linguaggio, di indagine essenziale da parte del filosofo? Non di enti appartenenti al «terzo regno» di Frege (significati impassibili e inefficaci) parla il filosofo reso attento da Wittgenstein al pericolo di scivolare in una mitologia tassonomica; né, del resto, di comportamenti
da descrivere con approccio comportamentista, come fa Quine – collocandosi con ciò a cavallo fra quelli che in Frege sono il primo e il secondo «regno» (oggetti fisici e stati mentali). Dummett invece, senza mitologia ma anche senza riduzionismo, fa del primo ‘regno’ una repubblica dei parlanti, da descrivere secondo le modalità che gli sono proprie e con le quali in esso noi stessi operiamo. Questo attingimento a una competenza nativa, preteorica, contrassegna un approccio alla messa in rilievo del significato che è determinante per la messa a punto di un modello di teoria del linguaggio. E’ infatti in base a due diversi approcci al funzionamento del linguaggio che Dummett e Quine elaborano i loro rispettivi modelli di teoria, fra essi rivali.
Maurizio Candiotto, dottore di ricerca presso l’Università di Pisa, ha pubblicato numerosi articoli su Husserl, su temi legati alla filosofia analitica (oltre a quelli qui raccolti, altri su Bolzano, Frege, Quine e sul monismo anomalo di Davidson), su temi legati al pensiero francese contemporaneo (Derrida, Deleuze) e un libro sulla deduzione trascendentale kantiana (Deduzione e critica. Il trascendentale come necessità del possibile, Aracne 2010).