Sottotitolo: e altri versi in pisano
Autore: Fabio Meini
Pagine: 92
Prezzo: 9,00 €
Rilegatura: Brossura
Pubblicazione: Dicembre 2015
Illustrato: no
Dimensioni: 13×21 cm
ISBN: 9788865283158
Dalla prefazione di Danilo Soscia: "Confesso, per troppi anni ho vissuto nella incosapevolezza che la terra di Lari covasse fossili marini. «Vieni a Lari e fai una bùa 'ndove ti pare, ci trovi le 'onchiglie ma 'un troverai mai 'r mare», e i versi in pisano di Fabio Meini sono forse quella conchiglia impossibile, un'alterazione linguistica figlia di un'esigenza primitiva, l'atto volontaristico di nominare le cose attraverso un metro il più aderente possibile alla propria esperienza diretta, compreso il morso tragico, la condizione meravigliata di ogni essere vivente. Il reperto di un mondo perduto si è inoculato nel corpo vivo del presente, il mare è nella terra, simile a un desiderio irrisolto".
Cacciucco blues è il frutto di una sperimentazione disallineata, eppure saranno in molti a ritrovare nelle sue pagine motti, immagini e canzoni diventati ormai, grazie anche al lavoro culturale del loro autore, patrimonio comune. Fabio Meini è stato, ed è ancora, un pioniere delle nostre impervie strade, un Proteo, una sibilla di quella materia altra e tossica che la contemporaneità chiama underground, e che è il fluido volatile di un tessuto sociale vivo, grezzo. Animatore storico, perno consapevole, Fabio Meini è una sorta di doppio smilzo e allampanato di Art Kane, l'autore di A great day in Harlem, la foto di scuola scattata nel 1958 ad Harlem, tra la Fifth Avenue e la Madison Avenue, l'affresco su nitrato d'argento in cui Dizzie Gillespie fa mostra della sua cruda lingua, Thelonius Monk indossa una fulgida giacca bianca, e Charles Mingus se ne sta in silenzio. Mi viene da pensare, nel solco di un'equazione folle, che l'autore di Cacciucco blues potrebbe essere il regista di un doppio pisano di quella foto. A chi telefonerebbe per proporgli di mettersi in posa? Città dolente la nostra, città irreale, fulcro bastardo di un presente sempre lontano, a Pisa è nato, nasce di tutto. Da una distanza diseguale, anch'io ho vissuto, vivo immerso in questo giardino di genti. Ne ho fotografato un microscopico segmento di esistenza negli anni della mia attività di redattore, e ne sono rimasto preso.
Vivere a Pisa, vivere Pisa fino in fondo, significa subire una lezione che induce a mutare pelle: il centro non esiste, è una convenzione imposta, simile a una schiavitù morbida. Se il centro è quel luogo astratto dove accadono eventi, allora il nostro mondo è un centro, i suoi quartieri, le sue case lo sono. Quella di Fabio Meini è una parabola che non viene da una periferia sola, bensì da più isole, terre emerse che galleggiano alla deriva, disegnando una geografia sempre diversa. Per questo è difficile ritrarne la forma. La lingua che tesse le scene irriverenti di Cacciucco blues è infatti la lingua dei campi di calcio improvvisati tra il cemento, ma è anche quella dei piccoli e grandi collettivi urbani, con il loro portato di rituali, a volte di alienazione, e di speranza. È la lingua che batte il tempo dispari dell'epica di ogni quartiere, di ogni generazione nata ai margini di un sole che non sorge mai pieno. È la lingua che affonda sì le radici nel vernacolo parlato a Pisa tra Via di Parigi e i monti, ma che è prima di ogni cosa una tavolozza irriducibile, priva di un principio ordinatore, uno strumento a corde su misura.
I versi e le canzoni di Fabio Meini, con la modestia caparbia del loro autore, hanno fatto costume. Almeno tre titoli nati dalla sua penna sono stati portati alla ribalta grazie anche alla fortunata parabola di Tommaso Novi e Francesco Bottai, alias Gatti Mézzi. Al di là di questo felice sodalizio, la collocazione di genere dei versi di Cacciucco blues non è mai povera di conseguenze. L'influenza dei cantautori è un'ombra benigna, e così De André e Ciampi sono cassa armonica di immagini e figure bizzarre, amati mostri della vita quotidiana, ritratti eseguiti in punta di chiodo e di pennello, sempre sfumati nella compassione innamorata. Appaiono così, simili a flash, i capelli biondi al vento di un Livornese monumentale, oppure le balordaggini americane sepolte da un ghigno sannita, i pronunciamenti ruvidi e universali di mariti e mogli traditi in eterno, i contadini al riparo nella bolla del proprio orto, ultima linea dalla quale spiccare il volo con la sacra strafottenza dei bambini, gli innamorati adolescenti che hanno smarrito il senso e i cui volti, sebbene mai sfiorati dalla parola scritta (quasi fossero ineffabili), irradiano una pietà familiare. È un bestiario sospeso tra l'umana miseria e la verità naturalistica nel quale le bodde, i biacchi, le «formiole», i gatti, i maiali, le lucciole e le culere sono i referenti di un desiderio utopico inappagato. Esempi di virtù rovesciata,inaccettabile, verso la quale è cosa blasfema puntare l'occhio, ma che pure ci concede qualche attimo di piacere commosso. Le squame della vita sono simili a fiori, il resto è colore blu dell'animo.
Fabio Meini, nato a Pisa nel 1976 è già autore di tre libri di poesie, due in vernacolo, “Novelle per bimbetti cattivi” e “Cacciucco Blues e altri versi in pisano" e uno in italiano “I vivi e i morti”.
“Vattro (gocce di paura)” è la sua quarta opera composta da quattro storie dell’orrore e del grottesco ambientate in toscana, scritte in pisano, in terzine dantesche.
Vattro (gocce di paura)
Novelle per bimbetti cattivi